Partiamo dalla fine, cominciamo dal trailer.
Le clip da due minuti scarsi sono
sempre capaci di incuriosirti, di farti venire voglia di andare a vedere, poi
questa con “Immigrant song” rifatta da Trent Reznor è proprio ben riuscita,
certo, direte voi, altrimenti non le starebbero a fare.
Quindi vediamo di dire qualcosa
sull’ultima fatica di David Fincher. Lo avevamo lasciato coperto di elogi e di
allori a quel piccolo gioiellino che è “The social network” e lo ritroviamo qui
in Svezia, al freddo, sotto la neve a dirigere quella che è la trasposizione in
salsa americana del best seller omonimo “Uomini che odiano le donne” che
confesso di non avere letto ma dopo la visione del film ne esco rincuorato. Sì,
ok spesso nei film non si rispetta per filo e per segno quello che c’è scritto
nel romanzo ma il succo della storia rimane sempre quello e non sembra un granché.
Su un paio di cose non mi
sentirete mai, e dico mai, parlare male, la prima è Daniel Craig, che è un figo
da paura, che sembra nato per essere svedese e che con la barba incolta “vabbè, che te lo dico a fare”.
La seconda cosa è il cast, che
oltre al supermegafigo di cui sopra annovera tra le sue fila la bellissima
Rooney Mara (la fidanzatina di Marc Zukerberg in The social network) qui in
versione molto dark, poi la sempre bellissima Robin Wright viceredattrice di Millennium,
il giornale per cui lavora il nostro Daniel, e poi Goran Visnijc, che per chi seguiva
E.R. era il bel dottor Kovac e poi tanti altri che non vi sto ad elencare che
altrimenti non si finisce più.
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cool. |
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more cool. |
Le cose che non vanno.
A essere sbrigativo dovrei dire
tutto il resto. Ma so che siete ansiosi di conoscere il mio parere quindi mi
spiegherò un po’ meglio.
Non funziona la storia, o meglio,
per uno come me che non ha mai letto il libro, visto il primo adattamento
cinematografico e che quindi non aveva idea di cosa fosse ‘sto Millennium il
film è uno di quei thriller di una volta con tanti nomi, tanti incroci, tante
storie che si fa fatica a starci dietro. Vi riassumo in breve la storia: c’è un
giornalista d’inchiesta che lavora per un magazine indipendente, Millennium
appunto, che viene condannato per avere scritto cose false in una sua inchiesta
contro una multinazionale, ma si capisce subito che è stato sconfitto dalla
multinazionale che lo ha “incastrato” come si fa di solito in queste situazioni.
Il suo matrimonio va a rotoli, se la fa con il suo viceredattore, la bella Robin Wright,
e ha una figlia che è diventata una invasata della bibbia.
Insomma, Michael, il nostro bel
giornalista, finisce sul lastrico ma riceve una telefonata da un vecchio
miliardario che vive su un isolotto sperduto nel nord della Svezia. Questo
vecchio gli propone, e non si capisce perché chiami un giornalista invece che
un investigatore vero e proprio, di indagare sulla scomparsa di una ragazza
avvenuta quasi cinquant’anni prima e gli promette, in caso di riuscita, di
coprirlo di soldi e di aiutarlo a smascherare il trappolone della
multinazionale che lo ha incastrato.
Nel frattempo c’è Lisbeth. Ragazza
difficile a quanto pare, visto che a 24 anni è ancora sotto tutela. Un genio
assoluto quando si tratta di indagini e di ricerche, lavora infatti per una
società investigativa privata per la quale si occupa anche di redigere un
rapporto sul nostro Michael per il vecchio Henrik Vanger, è un completo disastro in tutto
il resto. Ha una vita difficile e nella prima metà del film viene stuprata dal
colui che valuta se renderla “capace” legalmente. Non vi preoccupate che poi
lei si vendicherà e gli farà fare una brutta fine.
E così buona metà del film se ne
va con queste due storie parallele che sembrano non volersi mai incontrare fino
a quando c’è la svolta nelle indagini, i due si incontrano, cominciano gli
spiegoni, si vede un po’ di sangue, un gatto morto, qualche tetta, tanti
tatuaggi e poi quando tutti ci aspettiamo il lieto fine, niente, si rimane con
l’amaro in bocca.
Insomma, il prodotto è buono, ma
è molto complicato per chi non sa di cosa si parla, si va troppo vicino allo
schema classico dell’intrigo ingarbugliato con moltissime cose intuite ma non
dette e poi venti minuti finali pieni di occhi sgranati e interminabili
spiegazioni dell’enigma.
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