Sappiamo tutti come è finita, chi non lo ha visto in diretta lo ha sentito alla radio o lo avrà letto su qualche sito.
Già dopo le precedenti partite i commenti si erano sprecati, su tutti i giornali, tutti gli opinionisti avevano detto, analizzato, criticato, fatto paragoni.
Su una cosa concordo con loro, questa era un’Italia mediocre, operaia avrebbe detto qualcuno –ma non è periodo nemmeno per quella categoria– c’era un progetto di fondo, Lippi lo aveva dichiarato più volte durante il ritiro a Sestriere, tutti i giocatori dovevano essere in grado di giocare in ogni ruolo, nessuno doveva lamentarsi per la posizione in cui gli si chiedeva di giocare, doveva farlo e basta.
Non importava se quello non era il suo ruolo, si dovevano solo eseguire gli ordini.
Si potrebbe definire questa nazionale, più che operaia, “precaria”, “flessibile”, specchio del paese reale, perché sì, nonostante tutto, al di là delle chiacchiere da bar che si possono fare, la nazionale può benissimo essere presa come cartina tornasole della società italiana.
Una nazionale dove, si è visto, trionfa l’approssimazione, il pressapochismo, la mediocrità, dove ci si infiamma a parole per le critiche –rozze e raffazzonate– di “eminenti esponenti di governo”; dove ci si indigna, giustamente, contro chi fomenta la disgregazione nazionale, ma dove poi non si riesce a passare dalle parole ai fatti –come in politica d’altronde– dove, quando serve scendere in campo –no, non mi riferisco a Lui– si scioglie come neve al sole, perché non esiste un orgoglio comune che da la forza di superare insieme le difficoltà.
Questi risultati, però, sono anche figli di scelte precise –non bisogna dimenticarlo– e hanno radici ben salde nel recente passato del campionato di calcio italiano.
In quest’ultima stagione, come in quelle passate, ma più in particolare in quella appena trascorsa c’è stata una sola squadra in Italia che è passata alla Storia, quella squadra è l’Inter. Un team che è riuscito a vincere tutto quello che c’era da vincere, in Europa e in patria ma lo ha vinto senza giocatori italiani, gli unici che sono riusciti ad avere un po’ di spazio sono stati Balotelli, Santon e Materazzi, tre giocatori che non erano presenti –chi per evidenti motivi anagrafici, chi per le cosiddette scelte tecniche– nei 23 convocati.
Nei 23 convocati, c’erano molti juventini, giocatori di una squadra disastrata, arrivata 7° in classifica per chi se lo fosse dimenticato e per chi se lo fosse dimenticato vorrei ricordare come giocava la Juventus nella passata stagione. In campo regnava il terrore, la paura di sbagliare e così anche l’ultima in classifica aveva la possibilità di fare la partita della vita. E così è cominciata una delle peggiori stagioni della storia juventina, è iniziata una spirale di insicurezza che ha stritolato prima il gruppo e poi i giocatori, svuotandoli di ogni capacità.
Ecco, questo è quello che ho visto ieri pomeriggio in campo.
Si è pagata l’arroganza di scelte tecniche che hanno preferito la consuetudine al merito, il vecchio per il nuovo, la mediocrità all’eccellenza.
Sono state scelte obbligate, hanno detto. Tutti i migliori sono qua, a casa non abbiamo lasciato nessuno che non si meritasse di essere qui.
Si è chiusa un’epoca, ancora una volta abbiamo la possibilità di ripartire con un sistema migliore, un sistema-Italia proiettato verso il futuro.
Oggi è stata la lampante dimostrazione della mancanza di un progetto a lungo termine, non perdiamo tempo e cominciamo ad investire sul futuro, su un movimento che premi il merito, le qualità, l’eccellenza.
La Storia, ancora una volta, ci offre la possibilità di riscattarci, cerchiamo di non sprecarla.
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