Siamo alle solite, o così pare. Sì perchè di fronte ad affermazioni di una certa importanza ci si divide - ed è legittimo - ma poi non si analizza nel merito il contenuto della frase, quello che ci sta dietro.
Sull'affermazione di Marchionne dell'altra sera ci sono state vere e proprie bufere mediatiche con prese di posizione più o meno forti. Insomma, ne parlano un po' tutti.
Quello che vedo io da profano è questo. La Fiat ha sì ricevuto considerevoli finanziamenti dallo stato - ora così tanto sbandierati e rinfacciati - ma forse ci si dimentica il ruolo sociale svolto dalla Fiat negli anni '60, con il boom economico, con Mirafiori, con i treni pieni di gente che arrivava a Torino in cerca di un occupazione che solo la Fiat poteva fornire.
Poi ci sono stati i momenti di crisi, si è arrivati sul punto di chiudere, ma si è resistito nonostante tutto, grazie anche ai contributi dello stato, è inutile negarlo.
Tuttavia non si può non notare che in questi anni è cambiato il mercato del lavoro, non solo, è cambiata l'architettura mondiale del commercio, dell'industria. Con il tanto osannato ultraliberismo, quello spinto a manetta dall'amministrazione Bush per esempio, si è arrivati a questa situazione, dove un'impresa valuta in che stato andare a produrre anche in base al costo della mano d'opera e -particolare non trascurabile- dagli incentivi che essa può ricavare dall'andare in un paese piuttosto che in un altro.
Così si arriva agli ultimi mesi, Pomigliano, gli scioperi, i licenziamenti, la cassa integrazione. Poi il nuovo piano industriale proposto da Fiat e votato da più del 60 % degli operai che di fronte alla prospettiva della chiusura degli stabilimenti ha deciso di fare qualche sacrificio in più per poter continuare ad avere un lavoro.
Perchè il discorso di fondo è proprio questo. Avere un lavoro. Forse non lo abbiamo ben chiaro ma in Serbia o in Polonia, dove la Fiat vorrebbe continuare a dislocare la sua produzione, se ne fregano dei diritti acquisiti, dei diritti da mantenere. Se ne fregano. Loro vogliono il lavoro e poche menate. In più i loro governi incentivano le imprese a investire nei loro paesi, evitando tassazioni imponenti sulle buste paga ed elargendo finanziamenti cospicui a chi crea lavoro.
Ecco perchè forse Marchionne non ha poi così torto, ed ecco perchè forse il problema dovrebbe essere affrontato con maggiore serietà dalla nostra classe politica.
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