giovedì 24 febbraio 2011

Legittime asipirazioni

Stavo pensando a quello che succede in Libia, a quello che è successo in Egitto e prima ancora in Tunisia. Stavo pensando alla situazione e al paradosso che ci riguarda.

Noi, quelli dall’altra parte del Mediterraneo, valutiamo se e come intervenire, noi, che dovremmo essere quelli più sviluppati – perdonatemi per questo termine disgustoso – ci avviluppiamo in discorsi senza fine sul dopo senza pensare a quello che accade ora. Analizziamo con riunioni, tavole rotonde, meeting, il da farsi mentre a poche centinaia di chilometri da noi il popolo ha preso in mano il suo destino.
Davvero crediamo che loro non ci abbiano pensato alle conseguenze di quello che stavano per fare? Oltre tutto a quello che si vede la strada è sempre più in salita per ogni rivolta che si innesca. Non sarà solo l’onda lunga della prima rivoluzione andata bene che continua a spingere tutta quella gente che si batte ancora oggi, in questi giorni, in queste ore. Ci sarà qualcosa di più. Vogliamo davvero illuderci che tutta questa folla sia manovrata da qualche non meglio identificata organizzazione così abile da manipolare così tanta gente e in così poco tempo? E davvero la nostra più grande preoccupazione è chi si insedierà al potere dopo quest’altro dittatore? Davvero ci preoccupano solamente le previste ondate migratorie di centinaia di migliaia di persone?

La realtà è che siamo un paese pavido, tutti, indistintamente, io per primo. Ci siamo disabituati a lottare per i nostri diritti, convinti che prima o poi tutte le brutture andranno a posto da sole. Assuefatti da un benessere garantito soltanto dalla posizione geografica e da un eredità storica di fatiche, sacrifici, perdite di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Viviamo ancora di quel mirabolante sviluppo economico degli anni ’50 e ’60 che ha fatto salire il nostro piccolo paese contadino, uscito con le ossa rotte dalla guerra, nel vorticoso ottovolante del benessere. Ma ora, a distanza di cinquanta e più anni, questa eredità, per grande e corposa che fosse sta per finire. Tuttavia noi rimaniamo inermi, noi giovani soprattutto, inermi e rassegnati. Rinunciamo ancora prima di tentare. «Tanto poi non ci potrà andare peggio di così». Ci illudiamo di pensare.

Così classi dirigenti corrotte e senza scrupoli prosperano e fanno affari anche grazie al nostro immobilismo, tranquille che difficilmente dovranno rendere conto alla popolazione che le ha elette. Classi politiche che hanno coltivato scientemente la sempre valida regola del dividi et impera. Forti del fatto che se anche nascessero forti movimenti di opposizioni questi verrebbero degradati quasi immediatamente a mere scaramucce di fazioni politiche estremiste, rivestite di nessuna credibilità.

E allora a quelle popolazioni, costituite da persone di età media inferiore ai 30 anni, che decidono di sfidare la morte per un ideale, per un desiderio nuovo, mai provato, un sentimento che noi non siamo più abituati a sentire, quello della libertà e della giustizia, a quelle popolazioni si dovrebbe rivolgere tutta la nostra attenzione, molto di più di quella che dedicano loro i nostri governi, impauriti dalla realtà dei fatti.

Perché solo loro sono i padroni del loro destino, non chi li governa o pretende di farlo. E quando si è padroni del proprio destino niente è in grado di fermarti.

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