giovedì 4 agosto 2011

Il prezzo da pagare

(Foto Mauro Scrobogna/LaPresse)

Ieri pomeriggio il Pres del Cons ha riferito prima alla camera e poi al senato sulla situazione economico-finanziaria che riguarda il nostro paese. 

C’erano grandi attese su questo discorso, forse create ad arte per far crescere l’aspettativa, forse ci si aspettava di sentire semplicemente qualcosa di diverso. 

Non è stato niente di tutto questo. Ci siamo sentiti ripetere le solite cose, che l’Italia è coinvolta dalla crisi, ma non è la sola; che la crisi è mondiale e che quindi non è un problema che riguarda solo noi; che le nostre banche sono solide, che non hanno partecipato a commerciare hedge-found, i famosi futures; che insomma potrebbe andare peggio, ma che senz’altro si può e si deve fare di più. Che il CIPE ha sbloccato 7 miliardi di euro per rilanciare il mezzogiorno e che si cercherà di concertare maggiormente le decisioni future con le parti sociali.

Niente di nuovo sotto il sole verrebbe da dire, insomma, ci si crea  grandi aspettative, come se fossimo ogni volta di fronte ad una svolta epocale, ad una pagina nuova della nostra storia, ma puntualmente veniamo disillusi, dalla cruda realtà delle parole, già, delle parole perché di fatti fino ad ora se ne sono visti pochi.

Hanno parlato poi i leader dell’opposizione e ancora una volta hanno dimostrato di essere miopi di fronte all’occasione offerta dagli eventi, ancora una volta Bersani e Di Pietro, come peraltro anche Bocchino, si sono soffermati più e più volte sulla richiesta di dimissioni di Berlusconi, cosa evidentemente impossibile nella realtà, sebbene la richiesta e le motivazioni non siano insensate. E’ questione ormai palese quella di attribuire buona parte del pessimo andamento dei mercati, ed in special modo dell’accanimento nei confronti della nostra Borsa, al governo Berlusconi, o meglio a Berlusconi in persona che oramai ha perso tutto quel –poco –  credito che gli rimaneva in giro per il mondo. E’ da miopi e da ingenui non ammettere che una tra le cause del problema sia proprio lui. Perché la stabilità di governo è un concetto sacrosanto e infatti viene portato dalla maggioranza come vessillo da sbandierare ai quattro venti, ma bisogna stare attenti a non confondere la stabilità con l’immobilismo, la stagnazione, il tirare a campare. Perché sembra sia questa la dottrina adottata dal governo in questa ultima parte di legislatura. E allora questo atteggiamento non può provocare che danni, non può che peggiorare la situazione invece di impegnarsi per porvi rimedio.

Ma parlavamo dell’opposizione, degli interventi dei segretari dei vari partiti, Bersani ha cominciato bene, ha colto nel segno parlando appunto di una crescita che non c’è, della stagnazione del commercio, “dei soldi che non girano”. A me fa ridere, non per quello che dice, ma per l’impostazione, per il suo accento bolognese, mi fa venire in mente Casadei e così si rovina tutto, niente di personale, mi sta pure simpatico Gigi, ma quando parla mi fa sorridere e allora mi viene da prenderlo meno seriamente, non ce lo vedo presidente del consiglio. Tra tutti, e mi costa ammetterlo, il più puntuale mi è parso Casini, che ha messo sul tavolo proposte concrete che puntualmente verranno ignorate. Di Pietro ha fatto il solito show fine a se stesso, ormai è pronto a fare da spalla a Grillo.

Le proposte politiche sono tante, governo tecnico, governo di larga maggioranza. Si è fatto sentire perfino Marchionne che ha detto che serve un cambio di passo, serve recuperare credibilità, servono persone con una buona reputazione e non affaristi che cercano il tornaconto personale mentre siedono nei banchi del parlamento.

Certo è che per fare le riforme necessarie a cambiare pagina serve un governo forte, una larga, larghissima maggioranza, che forse solo una “grosse koalition” sarebbe in grado di garantire. Non siamo la Germania, lì ci sono riusciti, forse sarebbe il caso di farci un pensierino pure qui.

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