lunedì 5 novembre 2012

Skyfall


Per raccontare la fine di una storia bisogna cominciare dall’inizio.

Casinò Royale è stato il più grande successo e sicuramente il migliore Bond movie della storia, Quantum of Solace è stata una cosa rapida, evidentemente transitoria, un quantum appunto, un ponte che avesse dovuto portare alla fine, qualunque fosse, di Skyfall.

Come per le serie tv i primi due episodi di questa trilogia si articolavano in una trama verticale, quella della storia fine a se stessa dell’episodio, di Le Chiffre e di Dominic Green per intenderci, ma anche di una trama orizzontale, più lunga appunto, che serviva a tenere insieme i vari episodi e la trama orizzontale era Vesper, in tutto e per tutto.

Sia nel primo che nel secondo episodio, si veniva a scoprire a poco a poco questa grande organizzazione mondiale che cospirava per il suo esclusivo beneficio e di cui Vesper era stata suo malgrado vittima. Bond, pur non ammettendolo, continuava la caccia per  vendicare l’unica donna di cui si era veramente innamorato, l’unica per la quale aveva lasciato cadere l’armatura che di solito teneva addosso per rimanere insensibile alle emozioni e fare al meglio il proprio dovere. L’unica per la quale avrebbe lasciato tutto.

Ma questa è un’altra storia.

In Skyfall non c’è traccia di Vesper, non c’è traccia del passato, non c’è traccia dei due episodi precedenti. Come se in questo episodio si volesse raccontare qualcosa di diverso, come se si volesse voltare pagina.
L’idea di base è quella del ritorno alle origini. Un episodio finale ma allo stesso tempo l’inizio di tutto.

Infatti non dobbiamo dimenticarci che questa trilogia raccontava l’inizio del mito di 007. In Casinò Royale Bond era alla sua prima missione da doppio zero, ovvero da agente con licenza di uccidere e l’intento era proprio quello di farci vedere un agente “acerbo”, “rozzo” nei combattimenti e impulsivo nelle decisioni.

Con Skyfall conosciamo un Bond maturo, esperto, “vecchio”.

like a Rolling Stones
L’inizio ricorda molto quello di Casinò Royale, località esotica, questa volta Istambul, inseguimenti per strada, inseguimenti sui tetti delle case, ruspe questa volta Caterpillar anziché New Holland e le cose che non vanno come previsto. E quando dico che non vanno come previsto intendo che Bond muore. O almeno così ci fanno credere.

Ma quando il nemico si sposta a Londra, nella terra natale per cui ha sacrificato tutto, 007 torna dalle tenebre in cui si era nascosto, in cui aveva trovato rifugio, insieme a molto alcol e a molte droghe.
Torna in servizio e trova tutto cambiato, M è stata messa in dubbio per le sue scelte e le è stato affidato un supervisore, la vecchia sede dell’MI6 compromessa e il nemico è qualcuno che conosce molto bene i protocolli di sicurezza, probabilmente un ex agente.

Per tornare operativo deve superare i test di ammissione e apparentemente sembra riuscirci ma non è così, M lo rende operativo senza che in realtà lo sia.

Ma per sconfiggere questo nemico la tecnologia non è d’aiuto, lui è troppo potente, perfino per l’MI6, allora bisogna tornare alle origini, lasciare da parte la tecnologia e affidarsi alla forza bruta, all’istinto di sopravvivenza, giocare in un campo che si conosce a memoria, giocare in casa, a casa.

Ed è forse qui il vero colpo di scena di tutto il film, Skyfall è la tenuta di famiglia dei Bond, dei suoi genitori, di cui sul finire si vedranno le lapidi con i loro nomi scritti sopra, ma di cui non si saprà il perché della loro morte. È Skyfall il suo più grande segreto, il luogo dove tutto ebbe inizio, è Skyfall la fine.

Così viene abbastanza spontaneo il confronto o quantomeno l’assonanza con un’altra trilogia conclusasi quest’anno, quella di Batman.

Così come in Batman abbiamo visto le origini di Bond, almeno quelle professionali, li abbiamo visti cadere e li abbiamo visti risorgere.

Con Skyfall come ho detto all’inizio, tutto finisce per poter iniziare nuovamente. Un nuovo Q, un nuovo M. Conosciamo, o meglio, ri-conosciamo la nuova Signorina Moneypenny. E una promessa, Bond tornerà.

Per un film che non doveva nemmeno vedere la luce a causa della crisi economica e del quasi fallimento della casa di produzione non è andata poi così male, sebbene sia arrivato sugli schermi con qualche anno di ritardo. Probabilmente non sarà uno dei migliori di sempre ma nemmeno uno dei peggiori. Resta però l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere magari tenendo anche per i due episodi successivi a Casinò Royale Martin Campbell anche rivoluzionando la tradizione che impone un regista diverso per ogni film di Bond. Ne esce un film mediocre e a tratti noioso, con un Javier Bardem biondo che fa un cattivo alla vecchia maniera, di quelli che dopo un po' ti rompono le palle. 

Di una cosa però sono certo, Daniel Craig è senza dubbio il migliore Bond di tutti i tempi.

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