Per raccontare la fine di una
storia bisogna cominciare dall’inizio.
Casinò Royale è stato il più
grande successo e sicuramente il migliore Bond movie della storia, Quantum of
Solace è stata una cosa rapida, evidentemente transitoria, un quantum appunto,
un ponte che avesse dovuto portare alla fine, qualunque fosse, di Skyfall.
Come per le serie tv i primi due
episodi di questa trilogia si articolavano in una trama verticale, quella della
storia fine a se stessa dell’episodio, di Le Chiffre e di Dominic Green per intenderci,
ma anche di una trama orizzontale, più lunga appunto, che serviva a tenere
insieme i vari episodi e la trama orizzontale era Vesper, in tutto e per tutto.
Sia nel primo che nel secondo
episodio, si veniva a scoprire a poco a poco questa grande organizzazione
mondiale che cospirava per il suo esclusivo beneficio e di cui Vesper era stata
suo malgrado vittima. Bond, pur non ammettendolo, continuava la caccia per vendicare l’unica donna di cui si era
veramente innamorato, l’unica per la quale aveva lasciato cadere l’armatura che
di solito teneva addosso per rimanere insensibile alle emozioni e fare al
meglio il proprio dovere. L’unica per la quale avrebbe lasciato tutto.
Ma questa è un’altra storia.
L’idea di base è quella del
ritorno alle origini. Un episodio finale ma allo stesso tempo l’inizio di
tutto.
Infatti non dobbiamo dimenticarci
che questa trilogia raccontava l’inizio del mito di 007. In Casinò Royale Bond
era alla sua prima missione da doppio zero, ovvero da agente con licenza di
uccidere e l’intento era proprio quello di farci vedere un agente “acerbo”,
“rozzo” nei combattimenti e impulsivo nelle decisioni.
Con Skyfall conosciamo un Bond
maturo, esperto, “vecchio”.
like a Rolling Stones |
L’inizio ricorda molto quello di
Casinò Royale, località esotica, questa volta Istambul, inseguimenti per
strada, inseguimenti sui tetti delle case, ruspe questa volta Caterpillar
anziché New Holland e le cose che non vanno come previsto. E quando dico che
non vanno come previsto intendo che Bond muore. O almeno così ci fanno credere.
Ma quando il nemico si sposta a
Londra, nella terra natale per cui ha sacrificato tutto, 007 torna dalle
tenebre in cui si era nascosto, in cui aveva trovato rifugio, insieme a molto
alcol e a molte droghe.
Torna in servizio e trova tutto
cambiato, M è stata messa in dubbio per le sue scelte e le è stato affidato un
supervisore, la vecchia sede dell’MI6 compromessa e il nemico è qualcuno che
conosce molto bene i protocolli di sicurezza, probabilmente un ex agente.
Per tornare operativo deve
superare i test di ammissione e apparentemente sembra riuscirci ma non è così,
M lo rende operativo senza che in realtà lo sia.
Ma per sconfiggere questo nemico
la tecnologia non è d’aiuto, lui è troppo potente, perfino per l’MI6, allora
bisogna tornare alle origini, lasciare da parte la tecnologia e affidarsi alla
forza bruta, all’istinto di sopravvivenza, giocare in un campo che si conosce a
memoria, giocare in casa, a casa.
Ed è forse qui il vero colpo di
scena di tutto il film, Skyfall è la tenuta di famiglia dei Bond, dei suoi
genitori, di cui sul finire si vedranno le lapidi con i loro nomi scritti
sopra, ma di cui non si saprà il perché della loro morte. È Skyfall il suo più
grande segreto, il luogo dove tutto ebbe inizio, è Skyfall la fine.
Così viene abbastanza spontaneo
il confronto o quantomeno l’assonanza con un’altra trilogia conclusasi
quest’anno, quella di Batman.
Così come in Batman abbiamo visto
le origini di Bond, almeno quelle professionali, li abbiamo visti cadere e li
abbiamo visti risorgere.
Con Skyfall come ho detto
all’inizio, tutto finisce per poter iniziare nuovamente. Un nuovo Q, un nuovo
M. Conosciamo, o meglio, ri-conosciamo la nuova Signorina Moneypenny. E una
promessa, Bond tornerà.
Per un film che non doveva
nemmeno vedere la luce a causa della crisi economica e del quasi fallimento della casa di produzione non è andata poi così
male, sebbene sia arrivato sugli schermi con qualche anno di ritardo.
Probabilmente non sarà uno dei migliori di sempre ma nemmeno uno dei peggiori.
Resta però l’amaro in bocca per quello che sarebbe potuto essere magari tenendo
anche per i due episodi successivi a Casinò Royale Martin Campbell anche
rivoluzionando la tradizione che impone un regista diverso per ogni film di
Bond. Ne esce un film mediocre e a tratti noioso, con un Javier Bardem biondo che fa un cattivo alla vecchia maniera, di quelli che dopo un po' ti rompono le palle.
Di una cosa però sono certo, Daniel Craig è senza dubbio il migliore Bond di tutti i tempi.
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