Da tempo non scrivo di politica,
non per mancanza di argomenti o di spunti per alcune riflessioni, ma più che
altro perché non ne avevo ne tempo ne voglia. Soprattutto non credo ne abbiate
sentito la mancanza.
Dopo la conferenza di fine anno
dell’ormai uscente Presidente del Consiglio però volevo trarre alcune
considerazioni.
La prima è sull’istituto del
governo tecnico, nel senso stretto, ovvero, una serie di personalità esterne
dal mondo della politica, rappresentazione delle eccellenze nei vari ambiti di
competenza. Durante questo anno di governo Monti ho discusso più e più volte
mio malgrado con chi sosteneva che il governo tecnico, questo governo tecnico,
era il frutto di una sospensione della democrazia, qualcuno mi ha detto che in
Italia c’era stato un colpo di stato. Ora non voglio dilungarmi sulla stupidità
e sull’ignoranza di alcuni miei interlocutori e anzi confesso di aver cercato
di trattenermi dal non riversare tutto il mio disgusto e la mia pena nei loro
confronti ma spesso non ci sono riuscito. Non starò di certo a spiegare – e
d’altronde ora non se ne vedrebbe più la ragione – la legittimità di questo
governo, piuttosto vorrei fare una considerazione sulle facoltà e sui poteri di
un governo tecnico. Mi spiego meglio. Dal momento in cui si viene a creare la
necessità di un governo tecnico significa che ci si trova in una situazione
particolare, che le forze politiche che risiedono nelle due aule del parlamento
non sono state in grado di portare avanti un programma di governo. Quindi c’è
bisogno di un supplente, di qualcuno che sappia rimettere insieme i pezzi dello
schema, qualcuno che dimostri il modo giusto per fare le cose, visto che
evidentemente gli “eletti” o presunti tali non sono stati in grado di adempiere
il loro dovere, ovvero quello di rappresentare i cittadini che con i loro
suffragi li hanno assunti a loro rappresentanti.
Non generalizziamo, per carità, non sia mai che tra i
novecento e passa onorevoli e senatori ci sia ancora qualcuno che prenda
decisioni e si assuma responsabilità spinto da valori più alti di quelli impressi
sul proprio estratto conto. Così, a fronte di queste purtroppo amare
considerazioni mi sono chiesto se in queste situazioni, in casi limite, di
fronte a conclamate e palesi situazioni di emergenza politica e sottolineo
politica, perché di questo si è trattato, di un fallimento di un governo
politico, se appunto, in questi casi non sia il caso di sospendere anche il
parlamento e lasciare pieni poteri al governo tecnico fino alla scadenza del
suo mandato con la supervisione del Presidente della Repubblica. Ovvio, la
prima obiezione, la più scontata, è quella che non avendo un organo di
controllo – il parlamento appunto – si avrebbe di conseguenza una sospensione
della democrazia, ma di fronte ad un fallimento della politica e dei suoi
rappresentanti cosa fare? Bisognerebbe eleggere un parlamento di tecnici,
persone scevre da ogni condizionamento politico, ma è ovviamente una pia
illusione. E allora si lascia in mano alle segreterie di partito la facoltà di
sostenere o togliere l’appoggio ad un governo nato per supplire ad un obiettivo
che le stesse forze politiche in campagna elettorale si erano prese l’onere di
portare avanti. Così assistiamo, o meglio abbiamo assistito ad un buon governo
tecnico, che ha aperto la strada per alcune riforme che mai in Italia, in
queste condizioni socio-politiche, nessuno avrebbe avuto la forza di fare. Un
governo che però in questi ultimi giorni di legislatura è stato azzoppato su
alcuni provvedimenti – uno su tutti la soppressione delle Provincie – quasi a
mo’ di vendetta per essersi preso la scena e aver dimostrato che un paese
nuovo, più moderno, più serio e migliore è possibile. Un governo che certo
avrebbe potuto fare meglio e di più ma proprio perché vincolato ad un
parlamento orientato verso gli interessi particolari piuttosto che a quelli
collettivi ha reso le cose più complicate.
Così ora ci ritroviamo in questa
campagna elettorale dai tempi serrati, tutto in meno di due mesi e dalle prime
avvisaglie si preannuncia una battaglia senza esclusione di colpi. Tutto quello
che si sperava di evitare.
E così arriviamo alla seconda
riflessione, quella fatta di ipotesi e di prospettive, per la maggior parte
pessimiste devo ammetterlo. Ecco, la mia paura è che si arrivi ad una
situazione simile a quella dell’ultima campagna elettorale americana (fatte le
dovute proporzioni ovviamente) e cioè un partito dato in netto svantaggio che
bombarda le reti televisive di sondaggi, dati, interviste in cui sostiene di
essere avanti, tanto da riuscire ad influire su quella parte di elettorato
incerto che sempre più spesso è l’ago della bilancia di ogni elezione.
Negli Stati Uniti poi sappiamo
benissimo le cose come sono andate a finire, ma qui da noi, con un PD che ha
perso lo slancio delle primarie e si assesta intorno ad un sempre buon 30% che
comunque non è sufficiente per riuscire a governare con l’attuale legge
elettorale e in un modo o nell’altro deve almeno trovare altri 10-15 punti
percentuali da solo o con l’aiuto di altre forze che si alleino con lui. Stando
ad oggi il principale supporto arriva da sinistra, con SeL che porterebbe un
6-7% ma che difficilmente riuscirà a superare la doppia cifra. Quindi rimane
l’incognita del centro che ora più che mai sembra deciso a correre da solo,
molto probabilmente sotto un unico simbolo e facendosi portavoce unico della
cosiddetta Agenda Monti. Difficile ad oggi dare un peso a questa formazione
spuria, difficile capire come reagiranno gli elettori, magari apprezzando le
direttive date dal Presidente del Consiglio uscente ma continuando a vedere in
questo schieramento le solite facce del mondo centrista, anche perché ad oggi
non si è ancora capito quali forze, oltre a Montezemolo con la sua
“ItaliaFutura” e Casini con l’UDC possano confluire, visto che anche FLI sembra
essere stata tagliata fuori o comunque relegata ad un ruolo minore. Una
previsione ottimistica potrebbe darli intorno al 10-12% ma credo che
probabilmente si attesteranno intorno al 7-9%.
Scenario prevedibile, ma di
difficile gestione, è quello di una alleanza post-elettorale che raduni tutte
queste forze per formare un governo con Bersani presidente e forse Monti
possibile ministro delle finanze, con un accordo chiaro in materia di bilancio,
sviluppo e crescita (visto che poi tutto sommato l’agenda Monti non è così male
anche vista da sinistra) e lasciando alla discrezione e al lavoro delle aule
altre questioni come famiglia e diritti civili.
Di sicuro non sarà una campagna
elettorale tranquilla e dai toni pacati come era negli auspici, scorrerà non
sangue ma veleno, quello sì e tanto. Si useranno i soliti slogan da una parte e
dall’altra, verranno fatte promesse e grandi dichiarazioni d’intenti. Dovremo
essere noi a capire quanto una proposta possa essere fondata e su quali basi ci
viene proposta, dovremo essere noi a conoscere di più le cose di cui si parla,
dobbiamo essere noi a decidere il nostro futuro.
Nessun commento:
Posta un commento