giovedì 27 dicembre 2012

Il tempo di un futuro incerto.


Da tempo non scrivo di politica, non per mancanza di argomenti o di spunti per alcune riflessioni, ma più che altro perché non ne avevo ne tempo ne voglia. Soprattutto non credo ne abbiate sentito la mancanza.

Dopo la conferenza di fine anno dell’ormai uscente Presidente del Consiglio però volevo trarre alcune considerazioni.

La prima è sull’istituto del governo tecnico, nel senso stretto, ovvero, una serie di personalità esterne dal mondo della politica, rappresentazione delle eccellenze nei vari ambiti di competenza. Durante questo anno di governo Monti ho discusso più e più volte mio malgrado con chi sosteneva che il governo tecnico, questo governo tecnico, era il frutto di una sospensione della democrazia, qualcuno mi ha detto che in Italia c’era stato un colpo di stato. Ora non voglio dilungarmi sulla stupidità e sull’ignoranza di alcuni miei interlocutori e anzi confesso di aver cercato di trattenermi dal non riversare tutto il mio disgusto e la mia pena nei loro confronti ma spesso non ci sono riuscito. Non starò di certo a spiegare – e d’altronde ora non se ne vedrebbe più la ragione – la legittimità di questo governo, piuttosto vorrei fare una considerazione sulle facoltà e sui poteri di un governo tecnico. Mi spiego meglio. Dal momento in cui si viene a creare la necessità di un governo tecnico significa che ci si trova in una situazione particolare, che le forze politiche che risiedono nelle due aule del parlamento non sono state in grado di portare avanti un programma di governo. Quindi c’è bisogno di un supplente, di qualcuno che sappia rimettere insieme i pezzi dello schema, qualcuno che dimostri il modo giusto per fare le cose, visto che evidentemente gli “eletti” o presunti tali non sono stati in grado di adempiere il loro dovere, ovvero quello di rappresentare i cittadini che con i loro suffragi li hanno assunti a loro rappresentanti. 
Certo, si potrebbe dire a questo punto che ogni nazione, o meglio, ogni popolo ha i rappresentanti che si merita e che forse, in qualche maniera sì, gli eletti in parlamento erano proprio come noi, gente che si improvvisava a fare qualcosa, invogliata da un lauto stipendio e dalla prospettiva di una serena buona uscita. Ma, come noi, come la maggioranza di noi, persone che semplicemente non erano adatte a ricoprire quel ruolo, non perché in malafede o perché spinti a candidarsi per quali malvagi motivi, ma per il solo motivo di non avere alcuna competenza, nessuna proposta, di non rispondere a nessun elettore se non a colui che li aveva inseriti nelle liste bloccate e che con un sms prima di ogni votazione indicava quale pulsante premere. Il governo tecnico quindi ha avuto a che fare con questo tipo di parlamento e ammetto che mi viene la pelle d’oca ogni volta in cui sento dire che i partiti hanno fatto un passo indietro “per il bene della nazione”.
Non generalizziamo, per carità, non sia mai che tra i novecento e passa onorevoli e senatori ci sia ancora qualcuno che prenda decisioni e si assuma responsabilità spinto da valori più alti di quelli impressi sul proprio estratto conto. Così, a fronte di queste purtroppo amare considerazioni mi sono chiesto se in queste situazioni, in casi limite, di fronte a conclamate e palesi situazioni di emergenza politica e sottolineo politica, perché di questo si è trattato, di un fallimento di un governo politico, se appunto, in questi casi non sia il caso di sospendere anche il parlamento e lasciare pieni poteri al governo tecnico fino alla scadenza del suo mandato con la supervisione del Presidente della Repubblica. Ovvio, la prima obiezione, la più scontata, è quella che non avendo un organo di controllo – il parlamento appunto – si avrebbe di conseguenza una sospensione della democrazia, ma di fronte ad un fallimento della politica e dei suoi rappresentanti cosa fare? Bisognerebbe eleggere un parlamento di tecnici, persone scevre da ogni condizionamento politico, ma è ovviamente una pia illusione. E allora si lascia in mano alle segreterie di partito la facoltà di sostenere o togliere l’appoggio ad un governo nato per supplire ad un obiettivo che le stesse forze politiche in campagna elettorale si erano prese l’onere di portare avanti. Così assistiamo, o meglio abbiamo assistito ad un buon governo tecnico, che ha aperto la strada per alcune riforme che mai in Italia, in queste condizioni socio-politiche, nessuno avrebbe avuto la forza di fare. Un governo che però in questi ultimi giorni di legislatura è stato azzoppato su alcuni provvedimenti – uno su tutti la soppressione delle Provincie – quasi a mo’ di vendetta per essersi preso la scena e aver dimostrato che un paese nuovo, più moderno, più serio e migliore è possibile. Un governo che certo avrebbe potuto fare meglio e di più ma proprio perché vincolato ad un parlamento orientato verso gli interessi particolari piuttosto che a quelli collettivi ha reso le cose più complicate.

Così ora ci ritroviamo in questa campagna elettorale dai tempi serrati, tutto in meno di due mesi e dalle prime avvisaglie si preannuncia una battaglia senza esclusione di colpi. Tutto quello che si sperava di evitare.

E così arriviamo alla seconda riflessione, quella fatta di ipotesi e di prospettive, per la maggior parte pessimiste devo ammetterlo. Ecco, la mia paura è che si arrivi ad una situazione simile a quella dell’ultima campagna elettorale americana (fatte le dovute proporzioni ovviamente) e cioè un partito dato in netto svantaggio che bombarda le reti televisive di sondaggi, dati, interviste in cui sostiene di essere avanti, tanto da riuscire ad influire su quella parte di elettorato incerto che sempre più spesso è l’ago della bilancia di ogni elezione.

Negli Stati Uniti poi sappiamo benissimo le cose come sono andate a finire, ma qui da noi, con un PD che ha perso lo slancio delle primarie e si assesta intorno ad un sempre buon 30% che comunque non è sufficiente per riuscire a governare con l’attuale legge elettorale e in un modo o nell’altro deve almeno trovare altri 10-15 punti percentuali da solo o con l’aiuto di altre forze che si alleino con lui. Stando ad oggi il principale supporto arriva da sinistra, con SeL che porterebbe un 6-7% ma che difficilmente riuscirà a superare la doppia cifra. Quindi rimane l’incognita del centro che ora più che mai sembra deciso a correre da solo, molto probabilmente sotto un unico simbolo e facendosi portavoce unico della cosiddetta Agenda Monti. Difficile ad oggi dare un peso a questa formazione spuria, difficile capire come reagiranno gli elettori, magari apprezzando le direttive date dal Presidente del Consiglio uscente ma continuando a vedere in questo schieramento le solite facce del mondo centrista, anche perché ad oggi non si è ancora capito quali forze, oltre a Montezemolo con la sua “ItaliaFutura” e Casini con l’UDC possano confluire, visto che anche FLI sembra essere stata tagliata fuori o comunque relegata ad un ruolo minore. Una previsione ottimistica potrebbe darli intorno al 10-12% ma credo che probabilmente si attesteranno intorno al 7-9%.
Scenario prevedibile, ma di difficile gestione, è quello di una alleanza post-elettorale che raduni tutte queste forze per formare un governo con Bersani presidente e forse Monti possibile ministro delle finanze, con un accordo chiaro in materia di bilancio, sviluppo e crescita (visto che poi tutto sommato l’agenda Monti non è così male anche vista da sinistra) e lasciando alla discrezione e al lavoro delle aule altre questioni come famiglia e diritti civili.

Di sicuro non sarà una campagna elettorale tranquilla e dai toni pacati come era negli auspici, scorrerà non sangue ma veleno, quello sì e tanto. Si useranno i soliti slogan da una parte e dall’altra, verranno fatte promesse e grandi dichiarazioni d’intenti. Dovremo essere noi a capire quanto una proposta possa essere fondata e su quali basi ci viene proposta, dovremo essere noi a conoscere di più le cose di cui si parla, dobbiamo essere noi a decidere il nostro futuro.

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