lunedì 14 gennaio 2013

Cloud Atlas


Domanda: si può condensare un romanzo di quasi seicento pagine in un film di tre ore?

Risposta: sì, certo, decisamente.

Domanda: si può condensare un romanzo di quasi seicento pagine, che tratta di sei storie contemporaneamente, sei racconti all’apparenza indipendenti ma in realtà guidati da un filo comune?

Qui la risposta è un po’ più complicata.


Quello di Cloud Atlas era un azzardo, lo si sapeva già dai primi teaser. Si racconta che i fratelli Wachowski si fossero imbattuti nel romanzo di David Mitchell sul set di “V per Vendetta” perché Natalie Portman lo stava leggendo tra una pausa e l’altra.
Il progetto era ambizioso e loro non erano certo i tipi da tirarsi indietro di fronte a nuove sfide. Portare sul grande schermo un prodotto complesso, intrigante per molti aspetti, dalle mille sfaccettature e dalla trama complessa.
Ma l’azzardo non finiva li, per sei storie di solito servono sei cast differenti, questa volta no. Questa volta ogni attore aveva l’onere di interpretare un personaggio differente per ogni storia. Attori di ottimo livello ma che ultimamente non si erano visti molto sul grande schermo: Tom Hanks, Halle Berry, Hugh Grant e Susan Sarandon per citare solo i principali.

Devo ammettere che avevo molte aspettative, mi ero preparato con tutti i crismi del nerd, spulciavo articoli su internet, guardavo i trailer, mi leggevo il libro.
In realtà sapevo quello che mi aspettava quando sono entrato al cinema, però immagino che la maggior parte di chi va a vedere questo film non abbia fatto tutta la trafila del sottoscritto e quindi arriviamo alla domanda – la seconda – che ci eravamo posti all’inizio.

Se si ha letto il libro non si può che rimanere un filo delusi per l’occasione mancata, ma bisogna pur considerare che se già così, con ampi tagli e rivisitazioni dal romanzo originale, si è arrivati a tre ore di visione, forse tagli troppo drastici che hanno fatto perdere di interesse ai vari intrecci di ogni storia ma obiettivamente se non si fosse fatto in questo modo sarebbero stati necessari almeno due film e non era il genere di narrazione adatta ad essere spezzettata visto già quanto era frammentata in origine.

Così, chi assiste per il gusto di guardarsi un film senza aver letto il libro, alla fine può rimanere interdetto, sospeso, indeciso su come valutare quello che aveva appena visto.

Il New York Times lo ha definito il peggior film del 2012, a me sembra francamente esagerato. Come ho già detto era quasi un’impresa impossibile, ma da una coppia di registi ai quali si affibbia il più delle volte l’aggettivo “visionario” non ci si poteva aspettare niente di diverso.
In alcuni momenti di alcune storie la narrazione è piatta, quasi priva di interesse per lo spettatore, ma è così anche nel libro e come nel libro ci si alterna a momenti di estrema compostezza, noia addirittura, ad improvvisi cambi di scena e di ritmo narrativo. Questo è allo stesso tempo il punto debole e il punto di forza. Perché fondamentalmente non ci si è abituati, non abbiamo mai visto niente del genere prima, quelli che ci vengono proposti non sono i classici flashback di una storia lineare, qui non c’è niente di lineare, è un grande intreccio di storie, esperienze, luoghi, immagini, cose.

Forse è un modo di raccontare a cui ancora non siamo pronti, che passa dal teologico al filosofico, dall’amore alla violenza, che prova a mettere insieme tutte le esperienze umane e a porci domande di cui ignoriamo la risposta o semplicemente a cui non ci poniamo il problema di rispondere.

“Gli eruditi individuano nella storia certi percorsi e li trasformano in leggi che regolano l’ascesa e la caduta delle civiltà. La mia filosofia segue il procedimento inverso. Ovvero: la storia non ammette leggi, solo esiti.
          Da cosa sono determinati gli esiti? Dalle azioni malvagie e dalle azioni virtuose.
Da cosa sono determinate le azioni? Dalla fede.
La fede è al tempo stesso il premio e il campo di battaglia, si all’interno della mente sia specchio dell’anima stessa, ovvero il mondo. Se noi ci convinciamo che l’umanità è una scala di tribù, un colosseo di lotte, sfruttamenti e bestialità, quest’umanità finirà per prendere corpo e i vari Horrox, Boerhaave e Goose della storia vinceranno. Voi e io, i cosiddetti privilegiati, i benestanti, i fortunati, non avremo di che lamentarci in questo mondo, a patto che la fortuna non ci abbandoni. E se la nostra coscienza rimorde?
Perché dovremmo metter a repentaglio il dominio della nostra razza, le nostre navi da guerra, la nostra eredità, il nostro patrimonio? Perché dovremmo lottare contro l’ordine «naturale» (oh, che parola subdola e astuta!)delle cose?
Perché? Per questo motivo: un bel giorno, questo mondo dominato interamente da predatori andrà in contro all’autodistruzione. Sì, il diavolo farà sì che il primo sia l’ultimo. Nel singolo, l’egoismo abbruttisce l’anima; nella specie umana, egoismo significa estinzione.
È forse questa l’entropia inscritta nella nostra natura?
Se noi ci convinciamo che l’umanità può realmente trascendere artigli e zanne, se ci convinciamo che razze e religioni diverse possono convivere in pace sulla terra, esattamente come gli orfanelli condividono l’albero di aleurite, se ci convinciamo che i governanti devono essere onesti, che la violenza deve essere arginata, che il potere deve essere responsabile e che le ricchezze della Terra e dei suoi oceani devono essere suddivise equamente tra tutti, questo mondo nascerà davvero. Non mi illudo. È il più difficile dei mondi possibili. I tortuosi passi avanti compiuti da intere generazioni rischiano d’essere cancellati dalla semplice firma di un presidente miope o dal colpo di spada di un generale vanaglorioso.
Una vita spesa a plasmare un mondo che io sia felice di consegnare a Jackson, anziché un mondo che io debba aver timore di passargli. Ecco, a mio avviso, una vita degna di essere vissuta. Al mio ritorno a San Francisco, mi batterò al fianco degli abolizionisti. Perché io stesso devo la mia vita a uno schiavo che si è liberato da sé e perché si deve pur cominciare da qualche parte.
Sento già la voce di mio suocero. «Oh, bene Adam... Sentimenti da whig! Ma non venirmi a parlare di giustizia! Vai nel Tennessee a dorso d’asino e prova a dire ai sudisti che sono solo dei negri pitturati di bianco e che i loro negri sono solo dei bianchi pitturati di nero! Vai in Europa e prova a dir loro che i diritti degli schiavi dell’impero sono inalienabili quanto quelli della regina del Belgio! Oh, finirai nelle riunioni di partito povero, rauco e con i capelli grigi! Ti sputeranno addosso, ti spareranno dietro, sarai linciato, ricompensato con misere medaglie e disprezzato dagli zotici! Messo in croce! Ingenuo di un sognatore, Adam. Chi osa sfidare quell’idra dalle molte teste che è la natura umana paga il suo gesto con atroci sofferenze e con lui la sua famiglia! Quando esalerai il tuo ultimo respiro capirai che la tua vita altro non è stata che una piccola goccia in un oceano sconfinato!»
Ma cos’è l’oceano se non una moltitudine di gocce?”.

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