lunedì 18 febbraio 2013

Zero Dark Thirty


Quello che più mi dispiace era la sala praticamente vuota, eravamo proprio in una manciata a vedere questo film. Visto solo questa settimana e non quella di uscita visto che la maggior parte dei cinema qui in zona hanno preferito mandare sugli schermi quella boiata assurda e atroce di Warm Bodies. Giustamente potrete dire “di qualcosa devono pur vivere anche loro” ed in effetti i numeri sembrano dargli ragione, ma allora io potrei cominciare a farvi un discorso lungo e profondamente impegnato sulla decadenza della cultura cinematografica e della cultura in generale, del livello di educazione e della qualità di educazione, ma no,  tanto passo già per il radical-chic di turno quindi sapete già come la penso.

Dopo “The Hurt Locker” Kathrine Bigelow ci mostra ancora una volta cos’è il cinema di qualità, è una cosa minuziosa, fatta di dettagli, che non ha bisogno di effetti speciali, 3D, CGI. Basta una buona storia, dei buoni attori e una sapiente regia.

Anche in questo caso forse potremmo trovare il punto debole di questa pellicola nell’essere troppo poco “europea” e troppo indirizzata al pubblico americano, ma non si spiegherebbe allora il successo di incassi di Lincoln, forse il problema ancora una volta è la distribuzione e la promozione che qui da noi effettivamente sono state molto scarse.

Infatti alla pari di “Lincoln” “Zero Dark Thirty” racconta un pezzo di storia americana, dall’inizio, struggente, in cui viene riproposto l’audio delle telefonate dei passeggeri dei voli dirottati l’undici settembre 2001 e quelle delle persone intrappolate nelle due torri del World Trade Center. Poi subito ad una delle scene che più a suscitato scalpore ed indignazione, ma che oggi sappiamo essere stata uno dei metodi fondamentali per raggiungere l’obiettivo finale, la tortura. Nel film se ne vedono diversi tipi, alcuni diventati tristemente famose come quelle della prigione di Abu Ghraib. Dal waterboarding, ovvero la simulazione dell’annegamento, alla privazione del sonno. Si vede anche come cambino le indicazioni delle amministrazioni che nell’arco degli anni si susseguono (il film tratta un arco di tempo che va dal 2001 appunto, al 1° maggio 2011) e quindi il cambio di rotta tra l’uscente amministrazione Bush e il primo mandato di Obama, con la sua forte condanna della tortura e l’abolizione ufficiale, per quello che ci è dato sapere, di tali procedure.

Per tutto il film c’è un parallelismo sottile che appare sempre di più con lo scorrere del tempo, da una parte i terroristi, inflessibili alle torture, difficilissimi da piegare, ancorati alla fede e devoti alla causa, alla loro jihad. Dall’altra Maya, l’agente della CIA che non smetterà mai di arrendersi, pur di fronte a informazioni che sembrano darle torto oltre ogni dubbio, è lei che intuisce la pista corretta che porterà alla cattura di Bin Laden. Lei sopravviverà ad agguati ed attentati, un po’ per fortuna, un po’ per caso, lei stessa è convinta di essere la prescelta per dare la caccia e catturare il nemico numero uno. E mentre i terroristi con il passare del tempo vengono piegati, cominciando a parlare e fare nomi, lei mantiene fisso il suo obbiettivo, lottando contro gli ingranaggi del sistema di cui fa parte e spesso trovandosi sola contro tutti. La sua fiducia, la sua fede però è inattaccabile e anche dopo innumerevoli sconfitte, attentati non previsti, interrogatori andati male, trova i pezzi mancanti del puzzle e riesce a mettere a completare una delle più grandi operazioni di intelligence della storia.
Maya, come quelli della profezia
Se nella prima parte la narrazione segue un andamento temporale abbastanza regolare, sul finale si accelera, comprimendo molto la fase organizzativa del’intervento, ma lasciando lo spazio necessario a far rivivere quasi in tempo reale l’operazione delle forze speciali. In quest’ultima parte fa impressione quanto in realtà l’operazione sia durata, una cosa ben diversa dal “blitz” che i racconti giornalistici avevano potuto raccontare solo a parole.

Candidato a 5 premi Oscar™ probabilmente non avrà tutto il successo di “The Hurt Locker” grosse speranze sono riposte nella categoria di miglior attrice protagonista con Jessica Chastain che ancora una volta dimostra di essere uno dei migliori volti in circolazione.

Nessun commento:

Posta un commento