Quello che più mi dispiace era la
sala praticamente vuota, eravamo proprio in una manciata a vedere questo film.
Visto solo questa settimana e non quella di uscita visto che la maggior parte
dei cinema qui in zona hanno preferito mandare sugli schermi quella boiata
assurda e atroce di Warm Bodies. Giustamente potrete dire “di qualcosa devono
pur vivere anche loro” ed in effetti i numeri sembrano dargli ragione, ma
allora io potrei cominciare a farvi un discorso lungo e profondamente impegnato
sulla decadenza della cultura cinematografica e della cultura in generale, del
livello di educazione e della qualità di educazione, ma no, tanto passo già per il radical-chic di turno
quindi sapete già come la penso.
Anche in questo caso forse
potremmo trovare il punto debole di questa pellicola nell’essere troppo poco
“europea” e troppo indirizzata al pubblico americano, ma non si spiegherebbe
allora il successo di incassi di Lincoln, forse il problema ancora una volta è
la distribuzione e la promozione che qui da noi effettivamente sono state molto
scarse.
Infatti alla pari di “Lincoln”
“Zero Dark Thirty” racconta un pezzo di storia americana, dall’inizio,
struggente, in cui viene riproposto l’audio delle telefonate dei passeggeri dei
voli dirottati l’undici settembre 2001 e quelle delle persone intrappolate
nelle due torri del World Trade Center. Poi subito ad una delle scene che più a
suscitato scalpore ed indignazione, ma che oggi sappiamo essere stata uno dei
metodi fondamentali per raggiungere l’obiettivo finale, la tortura. Nel film se
ne vedono diversi tipi, alcuni diventati tristemente famose come quelle della
prigione di Abu Ghraib. Dal waterboarding, ovvero la simulazione
dell’annegamento, alla privazione del sonno. Si vede anche come cambino le
indicazioni delle amministrazioni che nell’arco degli anni si susseguono (il
film tratta un arco di tempo che va dal 2001 appunto, al 1° maggio 2011) e
quindi il cambio di rotta tra l’uscente amministrazione Bush e il primo mandato
di Obama, con la sua forte condanna della tortura e l’abolizione ufficiale, per
quello che ci è dato sapere, di tali procedure.
Per tutto il film c’è un
parallelismo sottile che appare sempre di più con lo scorrere del tempo, da una
parte i terroristi, inflessibili alle torture, difficilissimi da piegare,
ancorati alla fede e devoti alla causa, alla loro jihad. Dall’altra Maya, l’agente della CIA che non smetterà mai di
arrendersi, pur di fronte a informazioni che sembrano darle torto oltre ogni
dubbio, è lei che intuisce la pista corretta che porterà alla cattura di Bin
Laden. Lei sopravviverà ad agguati ed attentati, un po’ per fortuna, un po’ per
caso, lei stessa è convinta di essere la prescelta per dare la caccia e
catturare il nemico numero uno. E mentre i terroristi con il passare del tempo
vengono piegati, cominciando a parlare e fare nomi, lei mantiene fisso il suo
obbiettivo, lottando contro gli ingranaggi del sistema di cui fa parte e spesso
trovandosi sola contro tutti. La sua fiducia, la sua fede però è inattaccabile
e anche dopo innumerevoli sconfitte, attentati non previsti, interrogatori
andati male, trova i pezzi mancanti del puzzle e riesce a mettere a completare
una delle più grandi operazioni di intelligence della storia.
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Maya, come quelli della profezia |
Se nella prima parte la
narrazione segue un andamento temporale abbastanza regolare, sul finale si
accelera, comprimendo molto la fase organizzativa del’intervento, ma lasciando
lo spazio necessario a far rivivere quasi in tempo reale l’operazione delle
forze speciali. In quest’ultima parte fa impressione quanto in realtà
l’operazione sia durata, una cosa ben diversa dal “blitz” che i racconti
giornalistici avevano potuto raccontare solo a parole.
Candidato a 5 premi Oscar™
probabilmente non avrà tutto il successo di “The Hurt Locker” grosse speranze
sono riposte nella categoria di miglior attrice protagonista con Jessica Chastain che ancora
una volta dimostra di essere uno dei migliori volti in circolazione.
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